venerdì 20 febbraio 2015

110 INGEGNERE..MA IL MEGLIO DEVE ANCORA VENIRE

E poi capisci che il tempo passa, e che quella che è stata per te la prima compagna di giochi e il punto fermo della tua infanzia, la piccola, adorabile, insopportabile ed insostituibile peste che ha accompagnato e riempito di dolcezza tante pagine della tua vita, è cresciuta. Succede all’improvviso, quando meno te lo aspetti e magari nei momenti in cui si danno per scontato la felicità e l’allegria, nei momenti in cui l’eccezionalità e l’unicità degli stessi diventano garanzia di qualcosa di magico e prezioso, e non pensi che questi possano sorprenderti tanto ed entrarti dentro per rimanerci per sempre. Succede così, nell’attimo fugace di una discussione di una sessione di laurea, quando quell’aula magna che di tesi e sedute di laurea ne ha viste tante, è piena e le emozioni dei presenti sembrano palpitare all’unisono in un unico grande battito, quando le luci si accendono e si smorzano discrete e, sul palco, il maxischermo riporta tra formule e schemi e immagini sbiadite nel luminoso alone del getto, le parole che dal microfono ti passano attorno; quando, di fronte alla commissione riunita, i laureandi aspettano silenziosi il proprio turno, e tutt’attorno è un pullulare trepidante di emozioni trattenute e aspettative, di fiori rossi e di corone di lauro…quando i sussurri si sommano ai flash fotografici intanto che sul palco ad uno, ad uno, quelli che furono anni prima essi stessi matricole, testimoni di altre storie, bruciano nell’interminabile attimo di una discussione, quella che è stata la loro storia di studente fino ad allora, scrivono la parola “fine” alla propria vita universitaria, dicono addio, forse inconsapevolmente eppure inevitabilmente ad una giovinezza ed a un periodo di vita che li ha visti uscire di casa ancora sbarbatelli e tornare uomini. È così che succede. E questa è una storia che, all’università, ognuno di noi scrive consapevolmente ed inconsapevolmente, con quella leggerezza di vita tutta giovanile da ex liceale che gioca finalmente a fare il grande, e con quella gravità che ti scopre ormai più maturo nelle nuove responsabilità. È una storia che sa di libretti firmati e di dispense da studiare, di lezioni interminabili e appunti da prestare…
Succede così, e lei che è sempre stata per te più di una sorella, lei che ha riempito di amore e tenerezza i giorni più belli della tua vita, lei che con la sua simpatia ed irresistibile forza di vita ti ha fatto ridere fino alle lacrime, e che tante volte è  stata così insopportabile da farti prudere le mani dal nervoso e non sai se è perché ti ha fatto venire voglia di prenderla a schiaffi, o solo di stringerla forte tra le braccia, lei che ha una soluzione per tutto e nel dirti la verità è sempre diretta, sincera, e ti fa pure ridere, lei che ci è sempre stata e che anche se lontana ha asciugato le tue lacrime, lei che ha le braccia più dolci, più calde e più sicure in cui trovare rifugio… che è così immensamente, terribilmente eccezionale, generosa ed adorabile da farti commuovere anche il giorno più importante della sua vita, perché con una naturalezza che disarma ed una sensibilità e tenerezza che sconvolge, è capace di donarti, di dedicarti, quel giorno per lei così importante e di accenderlo nel tuo cuore nella certezza avvolgente e rassicurante di un “noi” senza tempo che incanta e seduce.
È stata bravissima la mia dottoressa, lei che fino a ieri era ancora la mia sorellina “tutta mia”, e che nell’attimo fugace di un battito di ciglia che ci ha scritto dentro e attorno tante vite, la ritrovo donna e la scopro bellissima: mentre le immagini esemplificative del suo progetto si susseguivano sullo schermo alle sue spalle e la sua voce riempiva l’ascolto, man mano che la dissertazione procedeva e le schermate passavano ordinate in sequenza, infatti, la vedevo sicura e padrona di sé, valida, “grande” come sempre e forse anche di più, ed era tutto il mio orgoglio ed il mio vanto.
Ci sono persone nella vita che sanno incantarti fin dal primo istante, che sono un dono, e che restano per te quello che sono sempre state anche se la vita porta altre strade, ci porta lontano, “ci” sceglie altre vite.
Beh, lei è stata il dono più bello fattomi, tanti anni fa, dai miei genitori, e se mai starà leggendo questa mia breve (spero), questo mio sproloquio forse troppo mieloso e noioso che di sicuro, per lei che è così pragmatica e diretta starà suonando stomachevole e troppo prolisso (già me la immagino mentre mi dice…<<Ah Là, taglia>>) le voglio solo dare il mio <grazie>, per tutto.
Perché ho gli occhi ancora pieni di TE (e non dirmi <<esagerata>> - come hai già fatto ieri, del resto n.d.r - che tanto lo so ma non posso farne a meno), perché sei troppo in gamba per essere mia sorella, perché l’altro giorno, nel leggere la dedica sulla tua tesi, l’emozione che ho provato e che mi porto dentro è qualcosa di indescrivibile, è troppo grande e troppo preziosa,  è una magia meravigliosa che permea di sé, del suo conforto e della sua dolcezza ogni “per sempre” che mi sussurro silenziosa.
Perché mi hai sorpreso e sconvolto ancora una volta per come sai essere così meravigliosamente te stessa, perché quel tuo gesto, che parla di te, del tuo amore, del tuo animo immenso e generoso, della tua insopportabile “acredine” alle volte che è solo una scorza del tuo carattere dolce e sincero, beh, quel tuo gesto, giunto a conclusione di un periodo di studio, dopo tanto impegno e tanti sacrifici, seppur mi fa paura perché non merito tanta considerazione e tanto amore, mi riempie di gioia.
Tanto che mi ritrovo ebete a sorridere di fronte ad un pc, e a sentirti vicina come non mai.
Grazie per tutto, piccoletta mia, perché la tua felicità è stata ed è anche la mia, perchè le lacrime di gioia e gli abbracci dei tuoi amici che sono persone eccezionali e di tutte le persone che ti vogliono bene, ripagano dalla inevitabile, consapevole eppure triste “necessità” di doverti dividere e “condividere” con tutti quelli che hanno la fortuna di incontrarti nel proprio cammino e di scoprire la bella persona che sei; perchè la tua giornata è stata e sarà per sempre anche la mia giornata, perché quel 110/110 che ti ha proclamato “Ingegnere” è solo una piccola parte (un piccolo, grande riconoscimento del tuo valore) delle mille cose che sei, che fai, che accendi dentro, quando ci sei.
Ti voglio bene! Auguri Ingegnere!

Ps. Mi scuso Clà per il tempo che ti ho fatto perdere e se forse ti può suonare poco sintetico e un po’ troppo retorico, è quello che sento e... sempre ed ancora con lo stesso sorriso da ebete di cui sopra e una lacrimuccia che stento a trattenere…ti voglio bene piccoletta.    

sabato 7 febbraio 2015

<<...La magia di quello che siamo...>>



“<<Volevo dire –disse Alice- che uno
     non può fare a meno di crescere>>”.
                 Alice nel Paese delle Meraviglie, L. Carroll

 Oggi mi sento depressa, in una maniera catastrofica. Sono in stile “lacrima facile”, non si può definire quanto mi odio quando mi trovo in questi momenti…mi ci lascio andare totalmente, ci sguazzo fino a diventare la caricatura lacrimevole e stucchevole di me stessa, tanto da sentirmi, alla fine, pateticamente grottesca e comicamente ridicola…ma ne vale la pena, mi dico, ne vale veramente la pena sprecare tanto tempo prezioso in lacrime e malumori? Non è assurdo perdere tanto tempo a piangere, lamentarsi, tormentarsi per le cose passate e quelle da fare, per i problemi da affrontare e un passato perduto che comunque non può tornare? Sì è ASSURDO. Anzi offensivo e stupidamente irriguardoso, per sé e per gli altri. Per le persone che ogni giorno, si alzano dal letto ed escono di casa per affrontare la propria vita e i propri problemi, per tutte quelle persone che si impegnano e perseguono con sacrifici un obiettivo, per tutte quelle persone che mettendo da parte se stesse, con forza, maturità, coscienza e serietà danno il proprio contributo alla società, “creano vita nella vita”. Allora mi ripeto di farmi forza, di avere fiducia, di non temere il futuro ma di provare a credere, a sperare, a lottare.  La delusione, l’errore, il fallimento, il dolore mi ripeto, fanno parte della vita, sono la “vita stessa”, e, se non ci fossero i momenti bui, non apprezzeremmo mai né godremmo appieno e con tanta intensità dei momenti di luce, che pure ci sono, e che tutti cerchiamo nella nostra vita e desideriamo, per noi, e per i nostri cari. Allora perché la mia paura? Perchè questo apatico tedium vitae e quest’ansia, questo sconforto nichilista che mi vede languire in una negatività stupida e senza senso nonché offensiva nei confronti di Dio e della vita stessa? Perché mortificare le proprie attitudini, uccidere il proprio pensiero che è la parte più preziosa di noi, la propria anima e “scintilla di vita”, per uno sconforto sterile che non porta a nulla, se non alla morte stessa di noi, facendoci altro male e immiserendo e privando il giorno delle sue piccole gioie che, per chi sa vederle, comunque ci sono? Il segreto della felicità non è forse il “prisma” di Pollyanna e nella gamma cromatica dei suoi riflessi? Non è forse saper scorgere un arcobaleno di colori nel riverbero gioioso di un prisma illuminato da un improvviso raggio di sole? Non è che la felicità è solo un modo di guardare la vita, di sorriderle, di farle il solletico, o anzi meglio ancora di pensare la vita ed accettarla, così come viene, con quella leggerezza e spontaneità che ci contraddistingueva da bambini?
Allora capisco di avere paura della felicità. Di essere fortunata perché la vita mi ha dato tanto, le sono grata e vorrei ricompensarla, darle valore, santificarla nei gesti e nei pensieri, esserle degna.
Così, come vorrei dire grazie a tutte le persone che mi amano, che ogni giorno ci sono per me, che asciugano le mie lacrime e soffrono con me e godono delle mie gioie e dei miei stupori. Persone che amo e che significano tanto per me, che mi sono state vicino e che in un modo o in un altro, chi più chi meno, chi per un attimo e chi per sempre ma comunque tutte in maniera indelebile, hanno segnato la mia vita portandosi dietro un pezzetto del mio cuore, persone che ho avuto il privilegio di incontrare nel mio cammino e che hanno determinato la mia storia, scrivendo chi un capitolo, chi una pagina, chi un semplice rigo o addirittura uno scarabocchio dispettoso pieno di sbavature e macchie di inchiostro, ma tutte persone che porto nel cuore come un ricordo, un bene, un dono anzi il dono più prezioso, perché senza di queste  forse sarei stata solo la brutta copia di me, senza non sarei quella che sono, senza, la vita non sarebbe stata così, per me, intensamente e profondamente, vita.
Come chi è me più di me stessa, perchè un filo rosso lega le nostre anime.
E poi…Penso a chi c’è e chi non c’è più, penso a chi è vicino anche se non qui. Alla mia famiglia, a mia sorella, a quanto vorrei che mi stritolasse tra le braccia mentre mi dice adorabile e insopportabile come sa sempre solo lei <<mammoccia!>> ed alla vita che mi porta quando è con me e a quella che lascia dietro quando non c’è, penso al “disordine” che mette nel mio cuore e poi subito “scappa” via, penso al vuoto che lascia dietro di sé, a quanto mi manca quando i silenzi parlano intanto che i minuti scorrono, e sono sempre le lancette dell’orologio che ne scandiscono i battiti.
Penso che non si finisce mai di crescere, e che, anche se è inevitabile andare avanti, penso che forse non sono mai cresciuta e che sarò sempre un po’ bambina.
E che cerco nel vento ingenui stupori e dolci ristori. Approdi silenziosi ma che comunque parlano di me, sono conforto e attesa.  
Non è facile, e spesso i momenti tristi prendono il sopravvento. Ma forse dobbiamo solo avere più fiducia, nella vita, nel futuro, e soprattutto (che detto da me che sono la “sfiducia personificata” non è poco) in noi stessi. Forse dovremmo (o almeno io, dovrei) solo imparare a vivere il presente in armonia con noi stessi e con il mondo, con quella maturità e “seriosa spensieratezza” che dovrebbe contraddistinguere la vita di ognuno, imparando dai bambini come dagli anziani, da se stessi come dagli altri che ci accompagnano nel nostro cammino.  D’Altronde, la musica migliore nasce dai tasti bianchi, come dai neri. Sta’ a noi scriverne la melodia, scandire le note che dettano la magia di quello che siamo.

lunedì 2 febbraio 2015

...e intanto le stelle stanno a guardare...

A volte mi rendo conto di aver logorato tutte le mie facoltà…sento come una consunzione di quelli che erano i mie punti di forza migliori…la mia tenacia, la mia forza fisica e soprattutto mentale, la mia testarda fame di vita e di giustizia che mi spingeva a impegnarmi strenuamente in qualunque appetito, in qualunque obiettivo, per qualunque desiderio, che mi dava la forza e la voglia di sognare, di credere e sperare…una sensazione, una convinzione, un terrore, una paura o forse solo una certezza di non essere più che mi fa tanto male, che mi ferisce dentro e divora con una forza che va oltre quella ferita che mi sono inflitta da sola quando la vita mi ha colpito per ferirmi ed umiliarmi mortalmente nella mia identità di donna e di persona…una certezza che diventa convivere con un’agonia che non passa mai, che ti divora, perché non sai più chi sei e senti solo questo maledetto desiderio, questo anelito di vita fremerti dentro e sconquassare il presente che intanto passa inesorabile e non sai come opporti, come frenare questo vuoto dentro che ti fa male...sai solo quello che non sei più...quello che non sei e che potevi essere…sai…e questo non ti basta. Sai che quella forza di prima in te non c’è più. Sai che ti resta solo questo: quello che non siamo, quello che non vogliamo.

sabato 31 gennaio 2015

"I Giorni della Merla"

La leggenda narra di una merla che, per ripararsi dal freddo e dal gelo di una giornata di fine gennaio, aveva trovato rifugio per sé e i propri piccoli in un comignolo. Il tepore dolce ardeva lì dabbasso dal focolare acceso tra sprazzi di cielo e sbuffi di fumo. Sapeva di famiglie riunite e di antichi silenzi, di un calore prezioso e di un sonnolento racconto, quando le storie ripetute tra i ceppi scricchiolanti e la cenere rischiaravano presente e passato accendendo di rossore i volti di chi, attorno a quel fuoco, aveva reso poesia il racconto della propria vita. Questa merla, che la leggenda vuole dal bianco e candido piumaggio, aveva trovato rifugio per sé e i figlioletti, tra la cenere e la fuliggine nera di un camino fumante. Si narra, o meglio, si racconta che questa, per sfuggire al gelo, avesse trovato nido proprio lì, in questo comignolo, e che vi fosse rimasta per tre giorni, protetta, al calduccio. Sono questi, secondo la tradizione, i giorni più freddi dell’anno (a prescindere dalle varie versioni che s’accavallano attorno a questa diceria popolare in una colorita e folcloristica varietà di sfumature e particolarità), giorni così freddi che, una volta uscita dall'improvvisato e caldo nido, la merla e i suoi piccoli avevano cambiato colore, tanto da diventare e da rimanere, da allora in poi, sempre neri.
Mi piace pensare a questi giorni come a giorni un po’ speciali, ricchi di quell’“alone” di mistero e di antico che solo la tradizione può perpetuare, e con la sua parola, raccontare, preservando ciò che, in un modo in un altro, ci rimanda alla nostra identità di popolo e di cultura. Non so, mi piace immaginare le storie di tante nonne riunite attorno al camino a raccontare ai nipoti di giorni freddi e di Gennai dispettosi, di ferri e mani veloci che lavorano mentre fili diventano maglie o di fasci di paglia che diventano scope. Mi piace pensare ai sussurri d’infanzia persi nel vento, e che ogni tanto, come per incanto, nel vento ritrovi.
Mi piace pensare a questa merla, forse scioccamente e un po’ ingenuamente, come a una mamma infreddolita e affamata eppure tutta intenta a mettere al riparo i suoi piccini, in un accoramento
misterioso e magico forse come può essere solo il cuore di una madre per i propri figli, che parla d’amore.
Così, se a fine Gennaio durante i “Giorni della Merla” l’aria è pungente ed indugiare vicino al focolare di casa è un po’ più dolce del solito, come quest’anno, beh, questi sono per me “i giorni della Merla e del suo Amore”, e soprattutto (forse perché la fantasia riporta le illustrazioni e le tempere di cui sognavo da bambina sulle pagine ormai ingiallite delle fiabe di un tempo, forse perché sono troppo romantica o solo troppo infantile e sognatrice )  della Vita stessa: l’amore che vince il freddo e che da bianco diventa nero, non è, a dispetto di una Natura inclemente e nel cuore, nel gesto di una mamma-merla o ancora nelle grida sonore e gracchianti di un nido, metafora e bella promessa di Vita stessa?

venerdì 30 gennaio 2015

E così..anche io..


Ho pensato tanto prima di aprire questo blog. Non so, mi sembrava come cedere un  pezzettino di me, forse quello più dolce ed allo stesso tempo più intimo, più “privato”, più caro di me, per darlo in pasto al mondo degli altri, al mondo degli occhi e dei pensieri altrui. Un pezzettino custodito gelosamente, forse perché “più sentito” e “più vero” di tanti altri che spesso siamo costretti a “cedere” alla monotonia o banalità della vita di tutti i giorni e che ci consentono quotidianamente di vivere, di rapportarci agli altri ed alla realtà facendo continuamente i conti con noi stessi, e con il nostro sistema di valori. Un pezzettino tenuto al calduccio nella parte più profonda del mio cuore, ricco di quella magia che, bagnando di lacrime le pagine dei miei diari segreti, ha in questi anni riempito di emozioni le pagine della mia vita, quando sognare non era difficile e in ogni giorno, assolutamente, c’era qualcosa da ricordare. Quando ogni giorno, magari anche una noiosa e pesante e grigia mattinata di scuola con la pioggia fuori sul vetro della finestra e le radici dei verbi greci da imparare, diventava già di per se un sogno (e non importava poi se il pomeriggio, con i compiti da fare e i verbi greci- già, sempre questi, da tradurre e uff coniugare-, sarebbe stato poi come sempre pesante e noioso).  Se non altro, di paura, di fastidio, di gioia, di tenerezza, soddisfazione e abbattimento, quella “leggerezza” magica di vita faceva comunque vibrare il tuo cuore, ed ecco che tutto diventava memorabile.
Perché sentito dentro, perchè soltanto“TUO”. 
È questo pezzettino “più vero” e “dolce” di noi, più indifeso e forse forte nella sua fragile delicatezza e testarda autenticità, che ci portiamo dietro come il bagaglio più prezioso, quando la vita, immancabilmente, ci sottopone a sé. Quando sceglie, in un modo nell’altro, di sceglierci, dettando i nostri percorsi e determinando così (complici noi, consapevoli o meno) il nostro destino. Quando la vita, comunque, ci cambia. Questa piccola parte di noi, ecco questo pezzetto del nostro cuore che accompagna la nostra esistenza quando le ore si accavallano ai giorni e i battiti dell’orologio diventano anni, questo piccolo scrigno d’incanto che custodisce preziosa la nostra anima, non soccombe al rumore degli anni, non soccombe al logorio del tempo e dell’esistenza ma resiste tenace e rimane con noi, sempre. Anche quando il giorno è troppo lungo e l’anima fa troppo male, anche quando il dolore è tanto forte da anestetizzare la vita. Anche quando ti senti fragile, ferito, arrabbiato, tradito. È questo pezzettino del mio cuore, che serba timidamente e gelosamente i ricordi, le emozioni, le pagine della mia anima come della mia vita, che ha asciugato tante volte in questi anni le mie lacrime, che ha accompagnato i miei giorni e ha illuminato i miei occhi di magia. È questo cantuccio dolce e segreto che mi porto dentro, tenace ed egoista e testardo nella sua intangibile, delicata fragranza di sacro e di eterno, questo anelito, questa scintilla di vita che infiamma i miei occhi e accende il mio cuore, è questa magia, o l’alone di questa, che dono lascio nel veloce battito di un“click” a chi sa leggere e capire.
Questo battito del cuore…In ogni battito del mio cuore. La parte più vera di ME.